Non è semplice essere semplici

Essere semplici non è così semplice.
Da piccoli lo è, perché è naturale. Siamo solo istinto, fino a una certa età. Ti va di urlare, e urli. Ti va di abbracciare quel signore, e lo fai. Ti va di far vedere il segno dell’antitubercolina a chi è di fianco a te in tram, e lo fai.
Poi ti insegnano che questo non si fa, quello non va bene, quell’altro non è educato, quell’altro è sgarbato, e piano piano tutto quello che era semplice diventa difficile.
E tutta quest’impalcatura che ti costruiscono intorno ti si salda addosso, entra a far parte di te come i chiodi che ti mettono se ti rompi un’osso e ci cresce la carne intorno e diventano un pezzo di te, e te ne ricordi solo quando suona il metal detector in aeroporto. Ma non puoi più separartene.
E devi imparare di nuovo ad essere semplice. Ma è difficilissimo. Quello che sapevi fare appena nato lo devi riimparare sbattendo la testa e muovendoti come una marionetta pilotata da un burattinaio ubriaco.
Cose come dire “ti amo”, come abbracciare un amico, come attaccare bottone con uno sconosciuto solo perché ti è simpatica la faccia, sembrano imprese ardue e da pazzo.
Eppure siamo nati così. Senza vergogna di essere nudi, senza paura di esporre i nostri sentimenti, senza timore di essere giudicati.

Semplici.

Un sentimento era un’azione, senza filtri e mediazioni, senza calcoli e elucubrazioni, senza ipotesi e fraintendimenti.
Tutta questa semplicità la dobbiamo ricostruire, e serve un lavoro enorme, e non so se si possa più chiamare semplicità, una volta che è costruita. È un succedaneo della semplicità, come si dice per gli alimenti finti.
Certe volte, magari dopo qualche bicchiere, quando i filtri del giudizio diventano a maglia larghissima e dal setaccio delle sensazioni passa un po’ di tutto, mi sento semplice come da piccolo, e me ne accorgo solo dopo, ripensando a cosa ho fatto o a cosa ho detto.
E devo dire che non me ne dispiace, perché in quei momenti in cui sono un po’ pagliaccio, un po’ ridicolo, un po’ immaturo, mi sento semplice come ero da piccolo, quando ero davvero saggio, senza saperlo.
(Così scrivevo su Splinder il 15 Giugno 2004)

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