Stoner

Stoner, Bill, William, è l’uomo normale, è secondo me la versione “proletaria” dell’Urlich dell'”Uomo Senza Qualità” di Musil.

È un antieroe, è quello che siamo e che saremo, il 99,99% della popolazione umana. Un uomo con una vita semplice, per il quale molte scelte non sono scelte, ma l’accettazione del flusso degli eventi, e il cui destino è essere dimenticati dalla storia. Un uomo che non ha cercato di fare il meglio, ma di vivere giorno per giorno, cercando di migliorare sempre. Forse ci è riuscito, forse no, ma ha vissuto. Non è stato perfetto. Ha sbagliato, ha pagato, ha avuto rimpianti.

Alcuni punti mi hanno colpito e fatto riflettere: La difficoltà del rapporto con la figlia, la felicità di vederla felice e l’incapacità di renderla tale. La sua impotenza nel capire il motivo dell’infelicità della moglie.

In un’epoca di supereroi, di film in cui anche l’ultimo sfigato ce la fa e diventa il migliore invidiato da tutti, lui è un uomo semplice, che cerca la felicità, per se e per gli altri, ma non sa sottrarsi allo scorrere degli eventi e del tempo.

Non è un libro che dà soddisfazione, che rende felici. Ma fa pensare. Per quanto possa sembrare ardito, mi viene una connessione con Fight Club di Palahniuk:
“Noi non siamo speciali.
Non siamo nemmeno merda o immondizia.
Noi siamo.
Noi siamo soltanto, e quello che succede succede soltanto.”

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